Personaggi

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Serva di Dio Maria Borgato Orsolina, martire

Saonara, Padova, 7 settembre 1898 – Ravensbrück, Germania, primavera 1945

Luigia Maria Pucheria Borgato è stata una suora laica della Compagnia di Sant’Orsola che, insieme ad alcuni familiari (soprattutto la nipote Delfina, allora sedicenne), aiutò prigionieri in fuga e sbandati a rifugiarsi in Svizzera. Fatta prigioniera e deportata, fu uccisa nella camera a gas del lager di Ravensbrück (Berlino). I campi di prigionia e di lavoro veneti ospitavano, alla vigilia dell’armistizio dell’8 settembre 1943, circa 9000 prigionieri alleati. Quelli di Saonara (Padova) erano per la gran parte inglesi dell’VIII armata, sconfitta più volte nella guerra d’Africa. Approfittando della confusione ingenerata dall’armistizio, in molti evasero e si dettero alla macchia. Sulle loro tracce si misero sia i Tedeschi che i Fascisti che, per ogni prigioniero in fuga, offrivano 1800 lire di taglia o il rilascio di un familiare deportato. Nella stessa situazione si trovarono ebrei, renitenti alla leva e molti soldati italiani che preferirono disertare. Evasi e disertori necessitavano di tutto (cibo, vestiti civili, documenti,…) e soprattutto di guide che li aiutassero a passare il confine con la Svizzera. In loro soccorso si organizzarono catene di solidarietà che li aiutavano in tutti i modi. Luigia Maria Pucheria Borgato e sua nipote Delfina parteciparono a quella organizzata da Armando Romani (ex ufficiale pilota) e Placido Cortese (frate francescano) svolgendo il ruolo di staffetta: accompagnavano prigionieri e sbandati di notte a piedi da Saonara fino alla stazione di Padova dove venivano presi in consegna da altri che li accompagnavano fino al confine svizzero di Maslianico. Di lì dei contrabbandieri venivano pagati per transitarli fuori dall’Italia. La notte del 13 marzo 1944 Luigia Maria e Delfina furono tradite da una spia che si faceva passare per ex prigioniero ed arrestate insieme ad altri familiari. Delfina, via Mauthausen, fu trasferita al campo di Linz e tornò a casa nel giugno del 1945. Luigia Maria fu invece deportata nel lager femminile di Ravensbrück, dove fu uccisa nella camera a gas nella primavera del 1945, alla vigilia della liberazione.

A partire dall’8 settembre fino alla liberazione, il Veneto, e non per pochi giorni, subisce la logica ferrea e disumana della guerra civile. Viene a mancare l’autorità legittima. Il ritmo della vita è scompaginato da un continuo viavai di truppe. Le forze di occupazione sia fasciste sia tedesche, si appropriano della vita privata. Gli ammassi e le requisizioni sono all’ordine del giorno, non c’è tregua nelle famiglie per i frequenti bandi di leva che incalzano i giovani e i renitenti. I bombardamenti notturni e diurni sulla città e sui raccordi stradali e ferroviari accumulano i morti e aggravano enormemente i disagi ai civili, che tentano di sfollare. La guerra che imperversa – scrive Pierantonio Gios – si sbriciola localmente in guerriglia snervante e in terrorismo insidioso; gli infiltrati e i provocatori si moltiplicano; lo spionaggio suscita il controspionaggio; gli eroismi si accoppiano quasi ai tradimenti. In questo clima di diffidenza generalizzato e di sfiducia elevata, anche fra i civili stessi, i paesi e le parrocchie si arrangiano come possono. È in questo contesto che va considerata l’azione di aiuto messa in atto dalle sorelle Borgato, le sorelle Martini, padre Placido Cortese e altre persone coraggiose, attive e vicine al gruppo FRA-MA (iniziali di Concetto Marchesi-Ezio Franceschini)1. Maestro l’uno e allievo l’altro, costituirono una efficiente rete clandestina che collegava Padova con la Svizzera, dove Marchesi teneva i contatti con le rappresentanze diplomatiche e gli agenti anglo americani e del governo legittimo del Sud. Con loro operava l’industriale Giorgio Diena, proprietario della Zukermann e Diena (poi Zedapa) una delle maggiori fabbriche di Padova.
Luigia Maria Pulcheria Borgato dei Soti (era questo il soprannome della famiglia), chiamata semplicemente Maria, nata nel 1898, dopo aver frequentato le prime due classi della scuola elementare, lavora presso la scuola di ricamo della contessa Pia di Valmarana e insegna catechismo ai bambini del suo paese2. Abita con i genitori e la famiglia del fratello Giovanni. Si occupa dell’educazione religiosa della nipote Delfina che dorme nella sua stessa stanza e per la quale nutre un grande affetto. Fin da ragazza si disinteressa di divertimenti e di compagnie rumorose e allegre, e frequenta con assiduità la chiesa. Vorrebbe diventare suora ma ciò non le è consentito a causa di una lussazione congenita all’anca che la fa zoppicare. Si fa quindi suora laica aderendo alla Compagnia di S. Orsola, di cui frequenta gli incontri mensili che si tengono a Liettoli di Campolongo Maggiore (VE). Fa il noviziato nel 1919 e l’anno seguente la professione, con il vincolo giuridico della promessa prevista dalla Compagnia di S. Orsola. Nel 1941, a 43 anni di età, fa il voto di castità. Quel giorno, ricorda Delfina, ci fece una sorpresa: tornata da un viaggio a Padova, ci offrì dei confetti e disse: Oggi è la mia festa, ho fatto i voti e quindi sono diventata suora a tutti gli effetti.
Vicino alla casa dei Borgato, nella boaria degli Sgaravatti, c’è un campo di lavoro nel quale sono rinchiusi circa 130 prigionieri alleati catturati durante la guerra d’Africa, per lo più appartenenti all’Ottava Armata inglese, ma di varia nazionalità: molti sono sudafricani, australiani, neozelandesi. Gli Sgaravatti, grandi vivaisti di Saonara, rimasti senza manodopera maschile a causa della guerra, hanno infatti ottenuto dal prefetto il permesso di utilizzarli nel lavoro dei campi. Nel tempo libero i prigionieri possono uscire dal campo e andare in paese, dove instaurano rapporti di conoscenza con alcuni abitanti, per lo più contadini, con i quali barattano i viveri forniti loro dalla Croce Rossa – latte condensato, gallette, zucchero, cioccolata, sapone, sigarette – con generi alimentari freschi o con abiti civili. Ma dopo l’8 settembre i tedeschi li ricercano per portarli in Germania. In ottobre il comando tedesco di Padova mette addirittura una taglia di 1.800 lire per chi consegna un prigioniero inglese; 5.000 lire era la ricompensa se il prigioniero era un ebreo. Va ricordato che allora erano circa 9.000 gli inglesi nel Veneto (2000 solo a Padova). Molti cominciano a essere sospettosi. Sia gli ebrei e sia i soldati inglesi preferiscono tentare la fuga verso la Jugoslavia o la Svizzera. Nei 20 mesi  di vita della RSI la caccia all’ebreo rappresentò un aspetto di normalità quotidiana. Per molti ebrei l’espatrio in Svizzera rappresentava un miraggio3 (stanco di nascondersi, il vice rabbino di Padova Eugenio Coen Sacerdoti con la moglie si consegnò spontaneamente fu rinchiuso prima a Vo’ Euganeo e poi deportato e ucciso ad Auschwitz).
È così che i prigionieri sbandati si nascondono nei campi, nei fossi, bussando la sera alla porta delle case contadine isolate, com’è quella dei Borgato.
Sono diverse le famiglie contadine che li aiutano, nonostante i bombardamenti angloamericani. Maria diventa subito l’organizzatrice degli aiuti. Mette in moto tutta la sua rete di conoscenze: essendo maestra di catechismo, conosce quasi tutte le famiglie del paese e sa di chi può fidarsi. Non potendo andare in bicicletta a causa della lussazione all’anca, manda la nipote Delfina a raccogliere viveri e indumenti. Ma con l’avanzare dell’autunno i prigionieri non riescono più a nascondersi nella campagna ormai spoglia. È allora che, tramite la farmacista del paese, sua amica, abitante a Padova, entra in contatto con le sorelle Martini, già collegate alla rete di padre Placido Cortese, conventuale della Basilica del Santo. Così Maria e la nipote Delfina, sedicenne, iniziano a organizzare i viaggi dei prigionieri alleati sbandati, accompagnandoli in un primo tempo al porto di Chioggia (riuscivano a fuggire aiutati da padre Domenico Artero), poi a Padova, dove vengono presi in consegna dalle Martini e portati fino a Oggiono al confine svizzero. Le Borgato riescono così a portare in salvo una cinquantina di alleati.
La notte del 13 marzo 1944, tedeschi e fascisti, avvertiti da una spia, entrano in casa Borgato, mettendo tutto a soqquadro, e caricano su un camion Maria, Delfina e suo padre Giovanni. Il giorno seguente sono arrestate Elisa Girardi e il figlio Gino Battan di S. Angelo, Maria Raimondi di Piove di Sacco, Milena Zambon, Teresa e Liliana Martini di Padova. Vengono tutti incarcerati a Venezia a Santa Maria Maggiore. Maria, per pregare, si chiude in bagno perché le compagne di cella la disturbavano la prendevano in giro. Dal carcere scrive alla famiglia: portiamo compazienza questa croce […] tuti dobiamo sofrire ed espiare per otenere la tanto sospirata Pace. Non corucciatevi permè la mia vita lodata a Dio perciò il sofrire è permè un vantagio che vedrete nel cello.
Dopo quattro mesi di carcere, con altre 15 donne e una cinquantina di uomini, il 27 luglio le due Borgato sono trasferite al carcere di Bolzano. Delfina, Liliana e Teresa Martini e le altre prigioniere più giovani, dopo una settimana, sono deportate in Austria, prima nel lager di Mauthausen poi a Linz.
Maria, il 7 ottobre, è trasferita, assieme a Milena Zambon, Maria Zonta, Anna Baldisserotto di Arzignano (Vicenza), Maria Raimondi Vidale di Piove di Sacco, Elisa Girardi Battan di Sant’angelo, Maria Mocellin di Fiesso d’Artico, al blocco 17 del lager prevalentemente femminile di Ravensbrück, a 80 km a nord di Berlino. Il viaggio di trasferimento da Bolzano dura quattro giorni. Le donne sono chiuse, in più di cinquanta, in un vagone blindato senza luce, senz’aria. Non le fanno mai scendere nemmeno per i bisogni fisiologici.
Arrivate al lager – sono in tutto 113 italiane -, dopo un lunghissimo appello e una doccia ora bollente ora gelida, vengono fatte sfilare, tutte nude, e ancora bagnate, in cortile, per l’umiliazione della visita; vengono fatte rivestire, senza biancheria intima, con casacche e zoccoli spaiati appartenuti alle precedenti prigioniere. Vengono poi separate a seconda dei lavori assegnati: trasporto sabbia e carbone, produzione di fili elettrici, manometri, trasmettitori per la Siemens sotto il diretto controllo dei dirigenti dell’azienda stessa. Dopo 25 giorni, alcune di loro, fra cui Maria Zonta e Maria Raimondi, vengono trasferite a Henningsdorf, a 13 km da Berlino, adibite alla costruzione di pezzi di aeroplani. Altre, fra cui Milena Zambon e Maria Mocellin, sono portate nel lager di Wittenberg per costruire pezzi per aeroplani stukas. Maria Borgato, invece, in condizioni di salute precarie, quindi inabile al lavoro, viene lasciata a Ravensbrück. Quando le altre vi torneranno, una decina di giorni prima della liberazione, non la ritroveranno più.
Maria Raimondi ricorda che in quell’orrore del lager, Maria Borgato, sostenuta dalla sua grande fede, non si lamenta mai. Ogni mattina, prima delle quattro, s’inginocchia e celebra tutta la messa, sottovoce, da sola. La Raimondi la vede piangere una sola volta, quando, nuda, con le braccia incrociate sul petto per vergogna, avanza lentamente, con il suo passo zoppo, per andare alla visita. Era un’anima santa. Aveva una fede da trasportare le montagne, dice Milena Zambon.
Dopo la guerra vengono effettuate delle ricerche da parte di carabinieri e questura che raccolgono le testimonianze delle donne che sono state con Maria a Ravensbrück, tra cui Maria Raimondi, Maria Zonta, Anna Baldisserotto. L’Internationaler Suchdienst di Arolsen (cioè il Servizio internazionale ricerche) della Croce Rossa non riesce a ritrovare tracce di Maria Borgato successive al mese di marzo 1945. Scopre solo che Maria è stata, negli ultimi tempi della sua prigionia, trasferita nel campo di annientamento, ex-sottocampo della Siemens, chiamato Jugendlager perché originariamente destinato alla riabilitazione delle giovani tedesche. Ai familiari viene quindi fatto pervenire un atto di morte presunta. Nel 1979 il Comune di Saonara le dedica la piazza municipale.

Autore: Patrizio Zanella

Fonte: www.santiebeati.it

Pagina aggiornata il 17/07/2024

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